domenica 30 settembre 2007

Cheese 4, Con la birra di montagna il formaggio d'alpeggio ci guadagna

Tra i grandi eventi proposti dal Cheese, spiccava un incontro caratterizzato dalla presenza di un microbirrificio di montagna, le cui birre sono state abbinate ad i formaggi prodotti da un allevatore della stessa zona a 1400 metri d'altezza dal livello del mare. Ne è uscita fuori una grande degustazione oltre che la scoperta di magnifiche birre ed affascinanti formaggi di piccoli produttori italiani. Il solito Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, ha introdotto il giovane Daniele Mainero, mastro birraio del Birrificio Troll, ubicato a Vernante in provincia di Cuneo, mentre Enrico Surra, specialista in formaggi di Slow Food, ha presentato Michelino Giordano dell'azienda agricola Isola, anch'essa di Vernante sulle Alpi Marittime al confine con la Francia Il primo derivato dal latte delle 100 vacche di razza piemontese che costituiscono la mandria dell'azienda familiare di Michelino Giordano è stata una ricotta, la quale non è considerata un formaggio, perché viene fatta con il siero del latte che viene portato a 65 gradi di temperatura e, dopo un'aggiunta di sale, ad una temperatura ancora più alta intorno agli 82 gradi, dove per affioramento emerge la ricotta che quindi viene messa a scolare. Anche il secondo assaggio è stata una ricotta chiamata Brusa Ciuca, questa volta stagionata nella birra. Il procedimento consiste nell'impastare la ricotta con le spezie della birra, poi viene posta in una tela e quindi pressata. Nella tela viene fatto un nodo che una volta pressato causa un buco nella ricotta, all'interno del quale ogni giorno viene immessa della birra. Ciò per 25 giorni, trascorsi i quali sarà pronta, così come l'abbiamo assaggiata La birra abbinata è stata la Panada, anche perché la birra incorporata nella ricotta e le stesse spezie con cui era stata impastata provenivano, appunto, dalla Panada. Il che, ovviamente, dimostra la collaborazione oltre che l'amicizia tra i due produttori.
Questa birra, di 4,7 gradi alcolici, è stata la prima prodotta dal birrificio Troll, nel corso della sua recente e breve storia. Si tratta di una blanche alla belga prodotta dal 2003. Deve la sua leggerezza all'utilizzazione di grano saraceno, e non mancano gli aromi derivanti dalla presenza di coriandolo, scorze di arance amare ed altri aromi segreti. Una luppolatura delicata, con frumento per il 40% ed un di avena. Una birra frizzante, freschissima, come le migliori blanche. "Nata per farsi bere", chiosa Kuaska. Ed il suo abbinamento sia con la prima che con la seconda ricotta si è rivelato molto interessante. Anche la ricotta, peraltro, rivelava una pannosità non comune alle altre ricotte, derivante dal latte particolarmente grasso delle vacche piemontesi, le quali, pur non essendo estremamente produttive come altre razze, donano un latte pieno di grassi. A ciò si aggiunge l'eccezionale qualità della loro alimentazione. Michelino infatti durante la stagione estiva porta la mandria a brucare su per i pendii delle Alpi Marittime. Lui e la sua stessa famiglia per meglio curare le vacche si sono trasferiti a Palanfrè, una frazione di Vernante con soli dieci abitanti, di cui otto della famiglia di Michelino.. Anche la tecnica casearia, ovviamente, esercita un peso specifico sul risultato finale della ricotta: in questo caso infatti è stato aggiunto un 10/15% di latte che l'ha resa ancora più pannosa e gradevole La seconda birra proposta dal birrificio Troll letteralmente significa una sberla: è la Patela. Una birra di alta gradazione con 7,2 gradi alcolici che però, grazie alla sua freschezza, non vengono percepiti immediatamente dal palato. Una chiara d'ispirazione belga. Il luppolo, ritirato direttamente dall'Austria, dona a questa birra tutta la sua freschezza che la rendono libera dalla necessità di spezie aggiunte. Viene abbinata ad un formaggio a latte crudo chiamato Nostra Palanfrè. All'affiorante mungitura della sera, viene aggiunta quella della mattina, poi cagliata per circa un'ora a 35 gradi. Segue una robusta rottura della cagliata in piccoli pezzi, grandi come chicchi di riso. Di nuovo riportata a 42 gradi per 35 minuti. Nel frattempo si allontana il siero e si mette quello che rimane, ossia la toma nelle forme in legno, all'interno delle quali viene rigirata ogni 5/6 ore per 3 giorni. Aggiunto il sale e poi per 60 giorni sugli assi di legno, dove le forme vengono rigirate ogni sera. Nei successivi 120 giorni di stagionatura il formaggio potrà essere mangiato. La pasta semicotta e con delle occhiature si presenta elastica al tatto ed al palato consistente. Profumo di burro e vegetali al naso. Il quarto formaggio proposto dall'azienda isola è il loro must, il Nostrale. E' il classico formaggio d'alpeggio che viene anche chiamato Isola come l'azienda produttrice. Rappresenta il 70% della produzione. Viene abbinato alla Palanfrina, una birra scura di 9 gradi alcolici a base di castagne. E' prodotta soltanto in autunno, in coincidenza della stagione delle castagne. Daniele Mainero per produrla usa soltanto luppoli americani ed inglesi, senza spezie e solo malto d'orzo e per far sentire le castagne gli mette anche il loro miele. Tra le 26 birre di castagna prodotte in Italia, forse la Palandrina è la più interessante. Non declina verso il dolce, pur mantenendo una persistente corposità ed aroma. L'ultima birra è stato un dono di Mainero alla platea. Stappate infatti le ultime 12 bottiglie della Febbre Alta, ognuno ha compreso il motivo della fama che in pochissimo tempo ha raggiunto il microbirrificio Troll. E' realizzata sulla base di una ricetta del '600 quando ancora non veniva utilizzato il luppolo, ma il gruyt, un'antica miscela di erbe e spezie, come il sambuco, il timo, foglie di carciofo, corteccia.. un di luppolo comunque c'è, giusto il minimo per poterla registrare come birra. Il 50% poi è a base di frumento maltato con una gradazione alcolica di 8,3. Una birra dal colore ambrato, piena di sentori erbacei ed aromi balsamici. Una birra dalla grande personalità che è stata abbinata al bleu dell'azienda Isola, chiamato Saret. Un erborinato da latte crudo di vaccino, anch'esso proveniente dalla doppia mungitura sera-mattina, con l'inserimento dei batteri del roquefort prima ancora del caglio. Dopo 15 minuti si procede ad una violenta rottura della cagliata in quattro parti quando è ancora in caldaia e dopo 5 minuti un'altra rottura in parti più piccole. Quindi si agita la cagliata a 35 gradi per circa 35 minuti, nel frattempo il siero affiora e quindi si elimina, mentre la toma va giù e si continua a pressare e rivoltare. Trascorre così una notte nella forma di legno a 20 gradi. Viene salata per 3 giorni e poi per 7 giorni sugli assi di legno. Quindi si procede a forare il formaggio affinché entri l'aria e consenta ai batteri inseriti in precedenza di sviluppare le muffe. Si rivolta per altri 60 giorni e nei 60 ulteriori è già pronto per essere gustato. Anche se è un bleu, le screzie sono grigie tendenti al mattone. A differenza del roquefort infatti il saret non è di latte di pecora ma di vacca, la quale assimila dal foraggio il carotene che poi donerà al formaggio le venature arancioni. L'erborinatura è ben fatta ed il gusto succulento..

sabato 29 settembre 2007

Cheese 3, Il fantastico mondo delle birre belghe e dei suoi formaggi

Lorenzo Dabove, detto Kuaska, ha presentato le fantastiche birre belghe mentre i formaggi di queste generose Terre sono state presentate dal grande affinatore belga Dirk Martens. Negli abbinamenti tra birre e formaggi valgono gli analoghi principi vigenti tra vini ed altri cibi. Così l'abbinamento può essere costruito su un contrasto tendente a valorizzarne gli estremi, oppure su un assecondamento con i sapori che si sommano uno sull'altro. La prima birra è forse la più famosa delle blanche, la Geuze. Originaria del sud est di Bruxelles è una birra particolarmente fresca e frizzante. Alla base di questo tipo di birra, a fermentazione naturale, è la lambic, un insieme di batteri e lieviti selvaggi, tipici del territorio, che fermentano il mosto della birra (di cui il 30% è frumento crudo), generando appunto la lambic che poi viene immessa in botti già usate per whisky o vino, dove attende un anno per essere pronta. Ma in questa fase la birra ancora non è pronta, anzi è molto piatta. Dovrà infatti essere assemblata ad un altra lambic giovane, la quale la rifermenterà donandogli quella frizzantezza e freschezza tipica delle Geuze. Il formaggio scelto per l'abbinamento, per contrasto, è stato un Brusselse. Un formaggio molle, da latte crudo, estremamente acido che pur contrastando con la Geuze, poi declinava verso l'amaro. Creando tra il pubblico presente una querelle che un pò ricalca due scuole di pensiero in materia. Infatti secondo alcuni, tra cui Kuaska ed i maestri birrai del Belgio, il formaggio deve assecondare e valorizzare la birra, così anche se al palato, nel precedente abbinamento, rimane l'amaro può andare bene, perché non ne risente la degustazione della birra. Seconda un'altra scuola di pensiero, di cui ne fanno parte i degustatori di Slow Food, l'abbinamento deve valorizzare anche i formaggi, da cui ne deriva che se a fine degustazione rimane l'amaro in bocca, o non è stato azzeccato l'abbinamento (come nel caso Geuze-Brusselse) oppure non è buono il formaggio. Infatti secondo gli specialisti del formaggio l'eventuale retrogusto amaro è sintomo di cattiva qualità del prodotto. Tale querelle si è protratta durante tutto il Cheese ed in particolare quando erano presenti gli esperti delle birre e dei formaggi Il secondo formaggio proposto da Martens era il Mecheleir, che prende il nome dalla città di Mechelen, 20 km a Nord di Bruxelles. Derivante da latte crudo vaccino, dopo una settimana viene lavato con la birra scura. Poi altre tre settimane ad invecchiare per essere pronto ad essere mangiato tra la quinta e la settima settimana. L'abbinamento non poteva che essere con la stessa birra utilizzata per invecchiarla: la Carolus, una scura molto equilibrata prodotta dalla birreria Tanken, ubicata a metà strada tra Bruxelles ed Anversa. Kuaska ricorda che di questa birra ne andava matto il suo maestro, Micheal Jackson, di recente e prematuramente scomparso. Il terzo formaggio, fiammingo, è il Baas Ganzendonk e prende il nome dall'omonima località dove si svolge la trama del libro La Coscienza di Hendrik. Un testo che contribuì nel Belgio del 1830 al movimento che portò poi all'indipendenza. E' un formaggio di latte di pecora crudo. Pertanto non può che essere molto acido, giovane ed a pasta molle. Il nostro non ha più di 5 settimane, anche se fino a sette settimane è mangiabile. Viene abbinato con una della più conosciute birre del Mondo: la Westmalle. Dal nome del monastero trappista dove viene prodotta, a non più di 5 chilometri da Gazendonk. I trappisti sono un ordine monastico derivato dai cistercensi che dal 1664 seguono la regola voluta dal fondatore l'abate A. J. Le Bouthillier. Una regola molto dura in reazione al rilassamento dei tempi e che consiste in lavoro manuale molto duro coniugato a vita ascetica. Ogni giorno dovevano scavarsi la fossa per ricordarsi che si è di passaggio, mangiavano molto poco e gli era soltanto concessa la birra da loro prodotta (che bevevano - forse non a caso - più volte al giorno). Il Vaticano ha concesso al monastero di Westmalle la potestà sugli altri trappisti e, quindi.., anche sulle loro produzioni di birra trappista che, nel mondo, sono soltanto altre sei. Alla Westmalle si deve anche la creazione del doppio stile, quello della dubbel (riconoscibile per la doppia X impressa sulle botti), e quello della tripel (tripla X) L'abbinamento rispondeva più al gusto belga che a quello italiano. Acido il formaggio, dolce la birra, amaro in bocca il risultato finale. A me è piaciuto. Il quarto formaggio era l'Herve. Originario del Belgio meridionale, vicino Liegi. Derivante da latte crudo vaccino è il primo Dop Belga. Quello che assaggiamo è la versione passata due volte al giorno per cinque giorni in salamoia, pertanto abbastanza anzi molto sapida. Come piace ai belgi, soprattutto in accostamento alla birra. L'Herve viene anche prodotto su scala industriale. In questo caso il latte viene pastorizzato con l'inevitabile riduzione di sapori e sentori che ne consegue. Un formaggio - abbiamo detto - molto sapido che abbiamo anche provato ad abbinare con la Westmalle tripel che con la sua enorme forza lo conteniene meglio della dubbel. E' inutile dire che gli intenditori di formaggio dello Slow Food arricciavano il naso.. Il quinto formaggio era buonissimo: il Picoleur. Derivato da latte di capra crudo ed affinato con il vino bianco. Originario del sud del Belgio dove i casari sono numerosi L'abbinamento proposto dai Kuaska è stato con la birra Adriaen Brouwer, il cui nome - suppongo anche con il conforto dell'etichetta - derivi dal grande pittore e ritrattista d'interni del '600 fiammingo. Una birra leggera e molto amata dai belgi. Chiamandosi il sesto formaggio anch'esso Adriaen Brouwer, perché affinato con l'omonima birra, va da se che venga abbinato con essa seguendo il principio dell'affinità dei sapori. L'ultimo dei formaggi era un erborinato, il Pas De Bleu, che letteralmente significa nessun bleu. Infatti i primi tentativi diedero risultati negativi e da qui il nome. E' un formaggio relativamente nuovo, diremmo moderno se non di tendenza. Il batterio che gli dona il bleu è lo stesso del parente più famoso, il francese Roquefort. A differenza di quest'ultimo, derivante da latte di pecora, la pasta è più dura e deriva da latte vaccino crudo. Con la Tripel della Westmalle si abbinava magnificamente e questa volta erano tutti d'accordo: sia gli esperti della birra che quelli del formaggio. Viva il Belgio!

Cheese 2, Belli Formosi British: Formaggi Inglesi dal Cheddar allo Stilton allo Stichelton e gli abbinamenti con il Sidro ed il Perry

L'Inghilterra è una grande nazione. Ma la sua gastronomia non è certamente all'altezza di questo popolo che ha fortemente influenzato l'età moderna e contemporanea. Tra i motivi della sua lenta evoluzione forse il più importante è legato alla mancata riforma agraria che ancor oggi vede le terre inglesi in mano a pochi, ricchissimi e non per questo efficienti, possidenti. Basti pensare infatti che il numero dei produttori (circa 400) aderenti al Consorzio del Parmigiano reggiano è non di poco superiore a quello di tutti i produttori (circa 300) di formaggio di tutta l'Inghilterra all'indomani della seconda guerra mondiale. Ma alcuni formaggi, opera dell'intelligenza degli eredi dei britanni, sono conosciuti ovunque per la loro peculiare bontà, come lo Stilton
Alcuni importanti personalità della gastronomia di Oltremanica come Juliet Harbutt, presidente del British Cheese Awards, interpretando le finalità di Slow Food promuovono la salvaguardia di alcune produzioni di formaggi inglesi che altrimenti non si salverebbero dall'estinzione. Così durante il Cheese, l'Harbutt con l'aiuto di Sandro Boschitto di Slow Food, ha presentato alcuni formaggi inglesi ed i loro tradizionali (e, del tutto, british) abbinamenti con il succo di mela e di pera, quest'ultimo con un alcolicità corrispondente a circa 7/8 gradi La signora Harbutt ha presentato alcuni dei più buoni formaggi inglesi, la cui caratteristica, di quasi tutti, è quella di derivare da latte di vacca pastorizzato, compreso lo Stilton. Il famoso formaggio erborinato che prende il nome dal luogo dove lo scrittore inglese Daniel Defoe nel 1727 raccontò nel suo "Viaggio attraverso l'Inghilterra ed il Galles" di averlo conosciuto. Viene prodotto soltanto da sette allevatori operanti nelle contee di Robin Hood, ossia il Nottinghamshire oltre che nel Derbyshire e nel Leicestershire. Gli inglesi usano degustarlo a fine pasto o nel primo pomeriggio accompagnandolo con il succo di mela. Ovviamente per gli inglesi, a differenza di noi italiani, i succhi di mela non sono tutti uguali, infatti la signora Harbutt ci propone un succo di mela piccola deliziosa ed un altro di mela verde della qualità discovery. La seconda, più asciutta ed astringente, forse legava meglio non solo con lo Stilton ma anche con lo Stilchelton. Quest'ultimo, da me preferito, non è altro che uno Stilton derivato da latte crudo e non pastorizzato e per questo non rientrante nel disciplinare del più famoso consanguineo. Al palato, infatti, questo formaggio mostra maggiore persistenza, sentori speziati, odore di fieno ed animali. la pastorizzazione infatti, seppur agisce positivamente in termini d'igiene e salute pubblica, riduce drasticamente quei microorganismi tipici di un determinato habitat, ed in quanto tali unici e non riproducibili e che poi conferiranno ad un determinato formaggio quei sapori che nessun altro formaggio potrà mai riproporre. Non è casuale quindi la battaglia di Slow Food a favore del formaggio derivante da latte crudo. Tra gli altri formaggi presentati dall'Harbutt il più famoso è sicuramente il Cheddar. Originario dall'omonima città nella contea del Somerset è il più antico e tradizionale dei formaggi inglesi. Quando non è prodotto su scala industriale e deriva da latte vaccino crudo, esprime sapori pannosi ed anche tostati e di nocciola nella versione stagionata. A caratterizzarlo la cosiddetta cheddardizzazione ossia la tipica procedura degli allevatori del Somerset che consiste nel taglio a fette della cagliata, la susseguente pressatura per alcuni giorni ed infine la stagionatura per 24 mesi. Ma la Harbutt ci fa assaggiare una chicca ossia l'unico Cheddar fatto con latte di capra, un'autentico fenomeno della natura, prodotto da un unico allevatore inglese. Ovviamente il gusto è più acido ed al palato si percepisce una maggiore morbitezza. L'abbinamento ideale è con il Perry, il succo delle omonime pere inglesi, in particolare quello delle tre contee, presidio slow food. Più che un succo è un vino di bassa gradazione che accompagna bene qualsiai tipo di formaggio, in particolari quelli più dolci e pannosi. Una curiosità: nel contesto del movimento di riscoperta del Cheddar un'enorme notorietà è stata raggiunta da un giovane allevatore inglese, neanche trentenne, che ha fondato cheddarvision.tv, un sito che riporta l'immagine fissa di un Cheddar durante la sua fase d'invecchiamento

mercoledì 26 settembre 2007

Cheese 1, Verticale del Faro Palari dal 1999 al 2004 presso la Banca del Vino a Pollenzo, Salvatore Geraci

Non so quanto siano stati i fortunati a poter degustare in un'unica occasione e senza soluzione di continuità le annate dal 1999 al 2004 del vino Faro prodotto dall'Azienda vinicola siciliana Palari dell'architetto messinese Salvatore Geraci, di seguito fotografato in primo piano sullo sfondo dell'edificio neogotico che ospita l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in provincia di Cuneo A rendere possibile quest'eccezionale se non unica degustazione la Banca del vino di Pollenzo che nell'ambito delle inziative del Cheese ha organizzato la verticale del Faro Palari oltre che un tentativo di abbinamento ideale del vino siciliano con i formaggi L'abbinamento con un vino di grande spessore non poteva che essere che con il re dei formaggi italiani: il parmigiano. In particolare sono stati abbinati due tipi di parmigiano derivati dal latte vaccino di vacche di razze diverse: razza bianca modenese una, razza rossa modenese l'altra. A descriverli Enrico Surra procuratore di Slow Food per il settore dei formaggi. Il pubblico li ha apprezzati, soprattutto il secondo, più grasso e carico di sentori.
Ma il protagonista dell'incontro era ed è stato il vino Faro, antica e quasi estinta Doc, il cui recupero fu ispirato a Salvatore Geraci dal mitico Veronelli, alla cui omonima guida dei vini collaborava l'eclettico architetto messinese. Coltivato sulle pendici delle colline che insistono sulla città di Messina. I vitigni a "piede franco" sono impiantati ad alberello e non sono tanto giovani: circa 50/60 anni di vita cadauno (secondo Geraci l'età avanzata dei vitigni sono il segreto della loro bontà). La raccolta, quindi, a circa 600 metri di altezza e 1500 dal Mar Jonio viene svolta a mano lungo i circa 7 ettari terrazzati che producono 30mila bottiglie, di cui 15mila del nostro Faro. Le uve sono per il 70% nerello mascalese (l'eleganza), mentre la restante parte è riservata a vitigni cui spettano il compito di donare forza e carattere quali il nerello cappuccio, il nocera, il core 'e palumba ed altri.. La fermentazione maleolattica è in barriques nuove da 12 a 18 mesi, poi una bella sgrossatura e quindi un anno in bottiglia. Ne deriva che quest'anno berremo la vendemmia del 2005 che - annuncia Geraci - sarà in distribuzione entro il prossimo Natale Ma quali sono le migliori annate del Faro, almeno secondo il pubblico di Pollenzo? Il 2004, quello in commercio, mostra ancora note di un giovanilismo che lascia ancora supporre evoluzioni significative. Il 2003, nonostante l'annata abbia registrato temperature calde da record, a differenza delle sofferenze manifestate dagli altri grandi vini italiani, presenta al palato un calore per nulla soffocante, anche se non raggiunge le vette eleganti dell'annata del 2002 . Ma il 2001 è forse quello che meglio esprime una complessità di profumi che trovano, però, il loro apice nel Faro 2000. Ma ecco il 1999, ossia un vino che ha già 8 anni (per un vino siciliano è come avere un secolo), a dir poco maestoso anche se mostra un pò di torbitezza che fornisce lo spunto a Geraci per rivendicare la scelta di non filtrare il vino con il filtro a cartuccia al fine di non "evirare" il vino di quei sentori che lo hanno proiettato nell'Olimpo di Bacco.
La verticale del vino di Geraci presso la Banca del Vino di Pollenzo ci ha anche fornito l'occasione per conoscere le finalità di questa meritoria iniziativa. L'obbiettivo infatti è quello di costruire una memoria del vino italiano. Ogni azienda vinicola italiana (ovviamente le più significative) stipula con la banca un contratto triennale che la obbliga a depositare presso la grandissima cantina dell'istituto 180 bottiglie del suo miglior vino per ogni annata. Il vino può essere acquistato da chiunque, anche via internet.

giovedì 6 settembre 2007

Teatro del gusto, attori, protagonisti e comparse...

In occasione dell’annuale Fiera Campionaria di Messina, evento che fa parte da decenni delle tradizioni cittadine, nella terrazza dell’ex Irrera a mare (fortunato ritrovo della Dolce Vita messinese degli anni ’60) dalla quale lo sguardo abbraccia lo Stretto di Messina, dalla Falce, alla Madonnina fino a Punta Faro, si alza ogni sera, per un totale di dieci serate, il sipario del Teatro del Gusto, un evento SlowFood, già proposto nelle ultime edizioni del Salone del Gusto di Torino e di SlowFish a Genova Attori delle dieci serate del Teatro del Gusto il cui tema è, neanche a dirlo, il pesce, non solo alcuni tra i migliori chef siciliani, le cui interpretazioni delle tradizioni isolane hanno commosso e deliziato, ma anche docenti ed esperti in materia che snocciolano preziose informazioni.
Il tema è il pesce, ma, come sempre accade quando promotore è Slow Food, l’occasione diventa propizia per lanciare importanti messaggi: i leitmotiv dell’evento diventano quindi “Mangiamoli giusti” in riferimento alle “giuste taglie” del pescato con relative misure in centimetri ( l’aragosta per esempio si misura dalla lunghezza della sua testa - detta carapace - e deve essere almeno 9 centimentri ) e, in particolare la sera del 13 agosto scorso, il pesce dimenticato, una proposta concreta di pesca eco – sostenibile
Sul palco attorno a pochi candidi tavoli finemente arredati da uno degli sponsor della serata, (un appunto, il candelabro a bracci che impediva una “lineare” conversazione vis a vis) un istrionico Saro Gugliotta, fiduciario di Slow Food Valdemone, si muove con maestria e grande carica comunicativa. Una cucina attrezzata e spaziosa, una cornice d’eccezione (lo Stretto di Messina), refoli di brezza marina e il pungente odore del mare completano la scenografia del Teatro del Gusto
Ospiti di Slow Food e di Saro Gugliotta sono Giacomo Zagami, docente universitario di Ecologia del plancton e il dottor Santo Morabito, responsabile del servizio dietetico dell’Azienda Ospedaliera Piemonte nonché presidente dell'Associazione dei dietologi di Sicilia che illustrano, sollecitati e guidati dall’abile presentatore, tipologia, caratteristiche e proprietà organolettiche del pescato dello Stretto di Messina
Il fondale marino dello Stretto di Messina è molto profondo, si presenta simile ai ripidi, rocciosi versanti di una catena montuosa ed ha una forma ad imbuto; le sue caratteristiche geo – morfologiche lo rendono unico, come spiega Giacomo Zagami, e rendono uniche anche flora e fauna, tipicamente mediterranee da un lato e con “incursioni atlantiche” dall’altro, favorite dalla presenza di forti correnti che garantisco plancton a volontà ed acque sempre pulite.
Una cospicua presenza di pesce azzurro caratterizza questo tratto di mare, varie specie cosiddette pelagiche perché vivono lontano dalle coste in profondità.
Abbandonata per qualche minuti la postazione al tavolo Saro Gugliotta si dirige in cucina dove lo attendono i veri protagonisti di questa prima parte dello spettacolo, il laboratorio del gusto che coniuga informazione e degustazione. Ad attenderlo Nunzio Micali del ritrovo messinese "Sala Ausilia"

in compagnia di un bel esemplare di Auxis Thazard detto anche tonnarello o pisantuni
Giacomo Zagami ci informa che il pisantuni arriva al massimo a 50 cm di lunghezza e un chilo circa di peso; rassomiglia molto ad uno Sgombro per la forma slanciata del corpo e la presenza di striature blunero su fondo grigio-azzurro o blu scuro nella metà posteriore del dorso. Si pesca soprattutto tra giugno e settembre.
E’ un cosiddetto pesce azzurro, categoria che racchiude i pesci “poveri” ossia con un prezzo di mercato inferiore rispetto ad altre specie e quindi snobbato spesso anche dai pescatori che lo ributtano in mare.
Il pesce dimenticato, appunto.
Mentre la platea ascolta interessata, lo chef Nunzio Micali è già all’opera ed invitanti aromi iniziano a stuzzicare l'olfatto ed il palato
Un ultimo contributo, infine, di Santino Morabito, esperto dietologo, che ci illustra i benefici di una dieta ricca di pesce. Il pesce infatti oltre ad un elevato valore nutritivo è ricco di omega 3, acidi grassi polinsaturi che svolgono un’azione benefica su cuore e circolazione. Particolare attenzione bisogna prestare ai metodi di cottura: infatti le proprietà organolettiche, le capacità nutritive e l'apporto calorico variano di molto secondo il metodo usato. Contrariamente a quanto si crede Morabito non inorridisce di fronte alla domanda se la frittura sia o meno contemplata in una dieta equilibrata. “Tutto dipende dalla temperatura dell’olio” avverte.
Più è alta, più la frittura è pesante e dannosa per l’organismo.
Dopo l’attenta e dettagliata presentazione da parte di Saro Gugliotta, arriva il momento della degustazione: Pasta alla ghiotta di pisantuni e pisantuni ca’ cipuddata