venerdì 17 dicembre 2010

Risveglio. Le 4 branche della Scienza Gastronomica Messinese

Cari amici e lettori, come avrete notato da circa tre anni non scrivo più. Ma in questi anni ho ricevuto decine d'inviti e centinaia di visite (almeno da quando la funzione statistiche consente tale verifica) che hanno tenuto vivo il mio legame con il mondo del Web. Dalle granite di Alfredo (Salina-Isole Eolie) alla cucina di Pino Cuttaia de La Madia di Licata (Agrigento) dalla manifestazione biennale dello Slow Food, il Cheese a Bra (Cuneo), fino al grande chef Ciccio Sultano de Il Duomo di Ragusa-Ibla, sono stati tanti i viaggi gastronomici che ho condiviso con tutti voi. Poi il silenzio. Durante il quale però ho continuato ad interessarmi di cucina e gastronomia, cercando di badare più alla sostanza che alla forma. In particolare ho approfondito le tradizioni della mia Terra, la Sicilia. Con particolare attenzione alla metà Orientale ed ovviamente alla mia provincia e città, quella di Messina. La gastronomia peloritana ( dai Monti Peloritani che dominano la città ) più che essere identificabile in alcune pietanze conosciutissime, quali il pescestocco a 'ghiotta, le braciolettine di carne e le braciole di pescespada, pianta le radici su quattro grandi specialità che tutt'oggi rappresentano delle eccellenze che non hanno nulla da invidiare ai più famosi "giacimenti gastronomici" del Bel Paese: la focaccia alla messinese, i rustici ( arancini, pitoni fritti e mozzarelle in carrozza ), le granite ( con la brioche ) e la pasticceria ( Bianco e nero, pignolata, cassata messinese, lulù ). Queste sono le 4 branche della Scienza Gastronomica Messinese. Ed ognuna di esse ha le sue regole che per essere affrontate hanno bisogno di anni ed anni d'apprendistato. E coloro che conoscono queste regole possono essere tranquillamente paragonati ai grandi maestri artigiani della Storia Gastronomica d'Italia. Coloro che hanno resi famosi nel mondo il Prosciutto Crudo di Parma o il Parmiggiano Reggiano, le Tagliatelle Bolognesi o la Pizza Napoletana, il Gelato Veneto o la Nutella ( Ferrero visto che il marchio è registrato) Piemontese. Mi piacerebbe presentarvi questi Maestri, anzi Mastri come sono chiamati a Messina. Da Mastru Saru a Mastru Pippinu, gireremo per forni e friggitrici, alla ricerca dell'arancino perfetto, alla scoperta della vera cassata, quella che ancora alcuni creano secondo la ricetta scritta negli anni '60 nel quaderno segretamente custodito da una pasticceria messinese ed appartenuto al piu grande pasticcere siciliano dello scorso secolo. A presto.

lunedì 1 ottobre 2007

Cheese 5, La Provola dei Nebrodi al Cheese? E chi l'ha vista!

Durante il Cheese ho pensato che valesse la pena approfondire le mie conoscenze sui derivati del latte. Antiche tradizioni e nuove tecniche con un unico comune denominatore: la qualità. Non nego che mi abbia sorpreso, ma neanche tanto, che durante la prima giornata del Master of cheese il bravo Eric Vassallo, autentica eminenza del mondo dei formaggi e di Slow Food, tra i cinque campioni di formaggi, a suo giudizio rappresentativi dell'arte casara italiana, avesse inserito anche la Provola dei Nebrodi. Da Siciliano ne sono stato orgoglioso, ma soprattutto ho condiviso la scelta di Vassallo che dimostrava l'unicità di genere di questo formaggio che si sfoglia tra le mani senza resistenza, come le pagine di un racconto di Camilleri. Così, quando mi sono avvicinato allo stand finanziato dalla Regione Sicilia e finalizzato a diffondere la conoscenza dei formaggi isolani, ho cercato la Provola dei Nebrodi. Prima ancora però mi è stata proposta la Vastedda della Valle del Belice, unico esempio di formaggio filato di pecora; il Caprino Girgentano, dal latte della capra dalle pittoresche corna nepalesi; il Piacentino della zona di Enna, che deve il suo nome non ad ascendenze norditaliche ma alla circostanza che "piace", anche grazie ad una sapiente aggiunta di zafferano; l'immancabile Ragusano oltre che la Provola delle Madonie. Così ho pensato di chiedere al funzionario dell'Assessorato all'Agricoltura della Regione Sicilia notizie della Provola dei Nebrodi. "Scusi ha notizie della Provola dei Nebrodi?", - ho chiesto - "..non è che avete dimenticato di portarla?", ho aggiunto. E lui: "..è uguale alla Provola delle Madonie!". Così gli ho chiesto di farmela assaggiare, anche perché speravo di colmare una mia lacuna, quella che sconosceva che la Provola delle Madonie fosse uguale a quella dei Nebrodi. Anche se mi sembrava strano che due formaggi provenienti da habitat così diversi potessero essere uguali. Ma la Sicilia, si sa, è una Terra dove tutto è plausibile..
Ed invece no! La Provola delle Madonie è un formaggio a pasta filata di latte vaccino, fatto bene, come vuole la grande tradizione meridionale dei formaggi a pasta filata. Ma non è assolutamente confondibile con la Provola dei Nedrodi. Quest'ultima infatti è stagionata, fino a 15 mesi. Un autentico unicum per una pasta filata. Presenta una leggera crosta, quasi una pelle. Il gusto dolce declina verso un leggero piccante, ma ciò che la rende unica è la consistenza al palato. La lingua infatti impazzisce scontrandosi con i pezzettini di provola in bocca, cercando di sfogliarli come un dito sfoglia un quaderno.
Ma si - mi sono detto con animo costruttivo - forse la Regione Sicilia ritiene che sia più importante aiutare altri formaggi, magari ancora non molto conosciuti, piuttosto che la Provola dei Nebrodi, visto che di essa neanche l'ombra..
Ovviamente nello stand dei presidi di Slow Food - ho dedotto - sicuramente troverò la Provola dei Nebrodi. Anche perché lo Slow Food si batte per la sua tutela e valorizzazione. Così ho cercato con successo lo stand, come dimostra la foto

Qui ho fatto la conoscenza del signor Cappello, al quale ho chiesto di farmi assaggiare la Provola dei Nebrodi, anche perché non mi sembrava di scorgerla a prima vista. Ed il signor Cappello mi ha fatto assaggiare una provola che stava vendendo in quel momento. Il colore era molto chiaro, la forma più piccola di quella tradizionale dei Nebrodi, la pasta molto molle. Insomma non era evidentemente la Provola dei Nebrodi. Ho spiegato al signor Cappello che conoscevo la Provola dei Nebrodi e che non era quella e non mi sembrava corretto non comunicarlo a tutti coloro a cui stava vendendo un formaggio che non era neache il Maiorchino (pure lui, peraltro, assente dallo stand della Regione Sicilia), anch'esso presidio Slow Food e pubblicizzato nella piccola insegna sovrastante lo stand. Alla fine Cappello si è arreso all'evidenza, giustificando che aveva portato 300 chili di Provola dei Nebrodi che nei primi due giorni di assaggi gratuiti ai visitatori del Cheese erano terminati. Ho fatto i calcoli che per consumarli avrebbe dovuto farla assaggiare a quasi 300mila persone! Gli ho chiesto il biglietto da visita: Giuseppe Cappello, produzione propria di Provola di Basicò..

domenica 30 settembre 2007

Cheese 4, Con la birra di montagna il formaggio d'alpeggio ci guadagna

Tra i grandi eventi proposti dal Cheese, spiccava un incontro caratterizzato dalla presenza di un microbirrificio di montagna, le cui birre sono state abbinate ad i formaggi prodotti da un allevatore della stessa zona a 1400 metri d'altezza dal livello del mare. Ne è uscita fuori una grande degustazione oltre che la scoperta di magnifiche birre ed affascinanti formaggi di piccoli produttori italiani. Il solito Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, ha introdotto il giovane Daniele Mainero, mastro birraio del Birrificio Troll, ubicato a Vernante in provincia di Cuneo, mentre Enrico Surra, specialista in formaggi di Slow Food, ha presentato Michelino Giordano dell'azienda agricola Isola, anch'essa di Vernante sulle Alpi Marittime al confine con la Francia Il primo derivato dal latte delle 100 vacche di razza piemontese che costituiscono la mandria dell'azienda familiare di Michelino Giordano è stata una ricotta, la quale non è considerata un formaggio, perché viene fatta con il siero del latte che viene portato a 65 gradi di temperatura e, dopo un'aggiunta di sale, ad una temperatura ancora più alta intorno agli 82 gradi, dove per affioramento emerge la ricotta che quindi viene messa a scolare. Anche il secondo assaggio è stata una ricotta chiamata Brusa Ciuca, questa volta stagionata nella birra. Il procedimento consiste nell'impastare la ricotta con le spezie della birra, poi viene posta in una tela e quindi pressata. Nella tela viene fatto un nodo che una volta pressato causa un buco nella ricotta, all'interno del quale ogni giorno viene immessa della birra. Ciò per 25 giorni, trascorsi i quali sarà pronta, così come l'abbiamo assaggiata La birra abbinata è stata la Panada, anche perché la birra incorporata nella ricotta e le stesse spezie con cui era stata impastata provenivano, appunto, dalla Panada. Il che, ovviamente, dimostra la collaborazione oltre che l'amicizia tra i due produttori.
Questa birra, di 4,7 gradi alcolici, è stata la prima prodotta dal birrificio Troll, nel corso della sua recente e breve storia. Si tratta di una blanche alla belga prodotta dal 2003. Deve la sua leggerezza all'utilizzazione di grano saraceno, e non mancano gli aromi derivanti dalla presenza di coriandolo, scorze di arance amare ed altri aromi segreti. Una luppolatura delicata, con frumento per il 40% ed un di avena. Una birra frizzante, freschissima, come le migliori blanche. "Nata per farsi bere", chiosa Kuaska. Ed il suo abbinamento sia con la prima che con la seconda ricotta si è rivelato molto interessante. Anche la ricotta, peraltro, rivelava una pannosità non comune alle altre ricotte, derivante dal latte particolarmente grasso delle vacche piemontesi, le quali, pur non essendo estremamente produttive come altre razze, donano un latte pieno di grassi. A ciò si aggiunge l'eccezionale qualità della loro alimentazione. Michelino infatti durante la stagione estiva porta la mandria a brucare su per i pendii delle Alpi Marittime. Lui e la sua stessa famiglia per meglio curare le vacche si sono trasferiti a Palanfrè, una frazione di Vernante con soli dieci abitanti, di cui otto della famiglia di Michelino.. Anche la tecnica casearia, ovviamente, esercita un peso specifico sul risultato finale della ricotta: in questo caso infatti è stato aggiunto un 10/15% di latte che l'ha resa ancora più pannosa e gradevole La seconda birra proposta dal birrificio Troll letteralmente significa una sberla: è la Patela. Una birra di alta gradazione con 7,2 gradi alcolici che però, grazie alla sua freschezza, non vengono percepiti immediatamente dal palato. Una chiara d'ispirazione belga. Il luppolo, ritirato direttamente dall'Austria, dona a questa birra tutta la sua freschezza che la rendono libera dalla necessità di spezie aggiunte. Viene abbinata ad un formaggio a latte crudo chiamato Nostra Palanfrè. All'affiorante mungitura della sera, viene aggiunta quella della mattina, poi cagliata per circa un'ora a 35 gradi. Segue una robusta rottura della cagliata in piccoli pezzi, grandi come chicchi di riso. Di nuovo riportata a 42 gradi per 35 minuti. Nel frattempo si allontana il siero e si mette quello che rimane, ossia la toma nelle forme in legno, all'interno delle quali viene rigirata ogni 5/6 ore per 3 giorni. Aggiunto il sale e poi per 60 giorni sugli assi di legno, dove le forme vengono rigirate ogni sera. Nei successivi 120 giorni di stagionatura il formaggio potrà essere mangiato. La pasta semicotta e con delle occhiature si presenta elastica al tatto ed al palato consistente. Profumo di burro e vegetali al naso. Il quarto formaggio proposto dall'azienda isola è il loro must, il Nostrale. E' il classico formaggio d'alpeggio che viene anche chiamato Isola come l'azienda produttrice. Rappresenta il 70% della produzione. Viene abbinato alla Palanfrina, una birra scura di 9 gradi alcolici a base di castagne. E' prodotta soltanto in autunno, in coincidenza della stagione delle castagne. Daniele Mainero per produrla usa soltanto luppoli americani ed inglesi, senza spezie e solo malto d'orzo e per far sentire le castagne gli mette anche il loro miele. Tra le 26 birre di castagna prodotte in Italia, forse la Palandrina è la più interessante. Non declina verso il dolce, pur mantenendo una persistente corposità ed aroma. L'ultima birra è stato un dono di Mainero alla platea. Stappate infatti le ultime 12 bottiglie della Febbre Alta, ognuno ha compreso il motivo della fama che in pochissimo tempo ha raggiunto il microbirrificio Troll. E' realizzata sulla base di una ricetta del '600 quando ancora non veniva utilizzato il luppolo, ma il gruyt, un'antica miscela di erbe e spezie, come il sambuco, il timo, foglie di carciofo, corteccia.. un di luppolo comunque c'è, giusto il minimo per poterla registrare come birra. Il 50% poi è a base di frumento maltato con una gradazione alcolica di 8,3. Una birra dal colore ambrato, piena di sentori erbacei ed aromi balsamici. Una birra dalla grande personalità che è stata abbinata al bleu dell'azienda Isola, chiamato Saret. Un erborinato da latte crudo di vaccino, anch'esso proveniente dalla doppia mungitura sera-mattina, con l'inserimento dei batteri del roquefort prima ancora del caglio. Dopo 15 minuti si procede ad una violenta rottura della cagliata in quattro parti quando è ancora in caldaia e dopo 5 minuti un'altra rottura in parti più piccole. Quindi si agita la cagliata a 35 gradi per circa 35 minuti, nel frattempo il siero affiora e quindi si elimina, mentre la toma va giù e si continua a pressare e rivoltare. Trascorre così una notte nella forma di legno a 20 gradi. Viene salata per 3 giorni e poi per 7 giorni sugli assi di legno. Quindi si procede a forare il formaggio affinché entri l'aria e consenta ai batteri inseriti in precedenza di sviluppare le muffe. Si rivolta per altri 60 giorni e nei 60 ulteriori è già pronto per essere gustato. Anche se è un bleu, le screzie sono grigie tendenti al mattone. A differenza del roquefort infatti il saret non è di latte di pecora ma di vacca, la quale assimila dal foraggio il carotene che poi donerà al formaggio le venature arancioni. L'erborinatura è ben fatta ed il gusto succulento..